ITALIANI IN CROAZIA – LA FARNESINA ORDINA LA RESTITUZIONE DEI FONDI
Di: Floriana Bulfon
Fotografia: Il Piccolo
Per la prima volta in trent’anni il ministero degli Esteri ha deciso di chiedere la restituzione di oltre 700 mila euro di contributi destinati a tenere viva l’identità nazionale della minoranza italiana in Slovenia e Croazia. Si tratta di finanziamenti incassati e non spesi. In parte erano destinati a progetti che non sono mai stati realizzati. In parte sono stati accumulati su un ricco fondo di riserva dell’Unione Italiana, l’organizzazione eletta dalla nostra minoranza che avrebbe dovuto investirli per accrescere il legame culturale e identitario con il nostro Paese. Nonostante la decisione della Farnesina, però i vertici dell’Unione pochi giorni fa a Zagabria hanno incontrato il ministro Luigi Di Maio chiedendogli di aumentare gli stanziamenti per il 2021, portandoli poi a 4 milioni l’anno a partire dal 2022.
Nella scorsa estate Repubblica aveva messo in luce alcune anomalie nella gestione dei fondi erogati dal ministero degli Esteri e dalla regione Friuli Venezia Giulia. Sovvenzioni per attività teatrali e musicali, mostre, scuole in italiano che però non sembrano avere influito sulla nostra comunità, dove la partecipazione alla vita associativa e alle elezioni interne è crollata. «C’è una gestione personalistica, contraddistinta da pratiche disinvolte e irregolarità, con progetti e iniziative che comportano solo un ritorno elettorale», ha denunciato Maria Cristina Antonelli, console generale in Slovenia fino al 2014.
Contestazioni respinte dal vertice della comunità italiana, da decenni guidata da Maurizio Tremul e da Furio Radin, deputato dal 1992 al Parlamento croato come rappresentante proprio della minoranza italiana. È stato rieletto recentemente per la nona volta consecutiva, confermato vice presidente anche se su oltre 17mila elettori italiani ha ottenuto solo 890 voti. La reazione di Radin è stata sprezzante, generando per settimane un vivace dibattito su giornali e social. A colpire sono state soprattutto le frasi del deputato della minoranza verso l’ex console italiano, definita «una donna andata in aceto, a cui ormai si è fuso il cervello», e verso il consolato di Capodistria, bollato come «un ufficio di serie B».
Il presidente dell’Unione Tremul interviene in maniera determinata anche sulla restituzione chiesta dalla Farnesina, sostenendo la totale correttezza di ogni operazione: «Non si tratta di mezzi che non siamo stati in grado di spendere: il fondo di riserva non poteva esser impiegato diversamente e le altre risorse derivano da risparmi e avanzi ricavati dall’attuazione scrupolosa delle attività. Siamo un’organizzazione responsabile che non ha mai avuto necessità di ripianare perdite poiché non le ha fatte».
In più dichiara di avere replicato al ministero degli Esteri che quelle risorse restano necessarie e domandato di poterle usare per nuovi progetti immobiliari, come asili e scuole. Tanto da sentirsi sicuro del sostegno di Luigi Di Maio: «Abbiamo avuto la sensazione che il ministro abbia apprezzato le innovazioni che stiamo portando avanti» – racconta Tremul- «Si è detto molto disponibile a verificare e a ragionare con noi su quali possano essere le iniziative che si possono promuovere per migliorare laddove migliorabile l’azione che viene svolta». Il presidente dell’Unione sottolinea anche di avere sottoposto al sottosegretario Ivan Scalfarotto una lunga serie di iniziative per costruire o restaurare scuole di lingua italiana in Croazia. Gli uffici del ministero e Di Maio, interpellati da Repubblica, non hanno rilasciato commenti, ma intanto la Farnesina ha ribadito che i fondi devono essere riconsegnati a Roma.
La gestione dell’Unione ha subito diverse critiche negli ultimi mesi. Secondo Silvano Zilli, esperto di tutela della documentazione storica della minoranza nazionale presso il Centro di ricerche di Rovigno nell’Istria croata, il risultato della permanenza quasi trentennale di Tremul e Radin ai vertici della comunità è che «nelle riunioni non si discute dei temi e problemi effettivi inerenti la tutela degli italiani, ma solo della spartizione elettorale del denaro».
Il ricercatore ha raccolto centinaia di delibere e contratti anomali: dagli oltre 281mila euro per le borse-libro mai assegnate, all’ex direttore della casa editrice della comunità condannato dall’autorità croata per aver usato carte di credito aziendali per spese personali, fino ad acquisti e lavori di ristrutturazione per sedi da milioni di euro destinate a ospitare poche decine di iscritti. Ma dopo queste denunce, Zilli si è ritrovato a essere l’unico licenziato per lo stato d’emergenza dovuto alla pandemia e la mancanza di fondi, nonostante l’ultimo bilancio dell’Unione segni un saldo di cassa da oltre 4 milioni di euro. «Il quadro emerso desta serie preoccupazioni per la stessa sopravvivenza della nostra minoranza. Occorre riconsiderare le modalità di controllo e gestione dei contributi. Sono soldi che vengono dalle tasse italiane dati da italiani per altri italiani. Lo Stato italiano ne è responsabile non avendo vigilato adeguatamente ed avendo così tollerato e forse incoraggiato irregolarità e personalismi», ragiona l’ex console Antonelli.
Per Tremul le accuse di Antonelli e Zilli sono prive di fondamento. Parla di «costanti attacchi a cui è sottoposta l’Unione Italiana che stanno danneggiando tutti i connazionali e che indeboliscono l’italianità del nostro territorio d’insediamento storico: l’Istria, Fiume, il Quarnero, la Dalmazia. L’Unione è l’unica organizzazione unitaria degli italiani di Slovenia e Croazia e grazie alla sua azione e impegno è assicurata la presenza viva della lingua, della cultura e dell’identità italiana in queste terre». Per ribadire: «Tutti i controlli a cui l’Unione Italiana è costantemente sottoposta hanno sempre certificato la regolarità legale e amministrativo-contabile della sua azione».
Ma negli scorsi mesi la procura croata di Pola (Pula) ha aperto un’indagine nei confronti dell’ex presidente della Comunità degli Italiani di Valle (Bale), Rosanna Bernè, e di suo fratello. L’accusa è di falsificazione di atti pubblici, abuso di autorità e violazione dell’obbligo di tenuta dei libri contabili. Secondo la contestazione, per anni attraverso un giro di fatture false avrebbero intascato almeno 60 mila euro. Quella di Valle (Bale) è una delle 51 comunità finanziate dall’Unione Italiana. E pensare che al termine del suo mandato, proprio l’Unione ha congedato Rosanna Bernè encomiandola: «A lei va la nostra gratitudine, per l’inesauribile impegno e i grandi risultati raggiunti».